Parliamo di Tarantino: C'era una volta...a Hollywood e dintorni

Sono riuscito a vedere al cinema "C'era una volta...a Hollywood", l'ultimo film di Quentin Tarantino.
Potrei limitarmi a scrivere una recensione del film, ma appena uscito dalla sala ho iniziato a ripensare a tutto l'operato del regista californiano. Lo scopo di quest'articolo quindi è di ripercorrere l'esperienza cinematografica tarantiniana dagli esordi ai giorni nostri; tuttavia non voglio scrivere una monografia, piuttosto riflettere sull'evoluzione del regista.


I primi due film, Reservoir Dogs (Le Iene qui in Italia) e Pulp Fiction sono di fatto due crime-story deliranti, in cui si intersecano generi cinematografici e citazioni ad altre pellicole, in cui l'intreccio è completamente smontato rispetto alla fabula (ovvero la cronologia effettiva delle vicende). Dunque qui si nota come il cannibalismo post-moderno è uno dei canoni distintivi dell' autore; Tarantino si diverte letteralmente a mangiare lavori di altri per poi assimilarli è formare un suo lavoro, completamente nuovo ed originale. L'apice di questo istinto cannibale lo troviamo in Kill Bill (vol 1&2). Se nelle sue prime opere, seppur non prive di originalità, si aveva una sorta di enciclopedia del manierismo, in Kill Bill ogni citazione si dissolve completamente all'interno di un nuovo immaginario cinematografico. Infatti quando si parla della cinematografia tarantiniana siamo di fronte ad un universo completamente diverso dal nostro; in cui per esempio Hitler muore in un attentato (come vediamo in Bastardi senza Gloria). Sicuramente nel primo periodo, un film alquanto anomalo è Jackie Brown: esso è l'unico film a non essere un soggetto originale ed è la pellicola più lineare del regista. Si tratta di un noir classico, condito con la scrittura ed i dialoghi tipici di Tarantino.

Arriviamo ora agli anni più recenti. Ci troviamo di fronte a due western, Django Unchained e The Hateful 8, in cui si può notare come Quentin sia decisamente stanco rispetto a quanto non lo fosse in Bastardi senza Gloria. Il primo è di fatto una storia sulla schiavitù intramezzata con i canoni tipici del selvaggio west, con dialoghi non esattamente mal scritti ma privi di quella esuberanza che contrassegnava i lavori precedenti. Per quanto riguarda il secondo invece è un giallo ambientato nel '800 statunitense, e per quanto sia di fatto un film valido, esso è estremamente lento, pesante nelle inquadrature e nella sceneggiatura.

Quindi, viste tutte queste premesse, non avevo molte aspettative verso questo "C'era una volta...a Hollywood". Tuttavia il casting era promettente; anche solo l'idea di mettere Di Caprio come star e Brad Pitt come suo stunt-man. Ma di cosa si tratta per quanto riguarda questa pellicola? Si tratta della storia di un attore sul viale del tramonto, del suo migliore amico, che è molto di più della sua controfigura, infatti egli è il suo factotum, ma la cosa non sembra pesargli molto. E la storia della Hollywood fine anni '60, degli hippy, delle primissime serie TV. E anche la storia come il dinamico duo protagonista abbia salvato Sharon Tate dalla strage compiuta dagli adepti di Charles Manson a Cielo Drive, e come questo salvataggio avvenga per sbaglio, in una sequenza di violenza grottesca e catartica tipica del mondo tarantiniano, che viene dopo una sequela di sketch ben costruiti e momenti morti. In qualche modo ancora una volta Tarantino interpreta un epoca e degli eventi storici a modo suo, in un contesto post-moderno ed esagerato. Molti già lo definisco già un capolavoro, io mi limito a dire che si tratta dell'esperimento meglio riuscito del regista californiano, quindi la sua migliore fatica di questi ultimi anni.



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